TERAMO – Sono forse risaliti a galla troppo in fretta. Forse spaventati da rumori troppo forti sui fondali. Avrebbero così perso l’orientamento finendo in trappola sui bassi fondali delle coste abruzzesi, a Punta Penne nella Riserva naturale di Punta Aderci, i 7 capodogli spiaggiatisi venerdì mattina. Quattro sono riusciti a riprendere il largo, grazie all’aiuto di esperti, volontari e forze dell’ordine. Tre, tutte femmine, di cui una in attesa di un piccolo, sono morti. Sulle tre carcasse l’esame necroscopico ha rivelato presenza di gas nei vasi sanguigni. Bolle che potrebbero essere una probabile conseguenza – secondo la tesi avanzata da Vincenzo Olivieri del Centro studi cetacei onlus – "di una riemersione troppo rapida, la cui causa potrebbe essere un trauma improvviso come quelli provocati dalle attività di prospezione con tecnica air-gun". "Questo trauma – è ancora la tesi di Olivieri – porta i cetacei a una riemersione non corretta, la cui conseguenza è la permanenza di gas nei vasi sanguigni. È simile a ciò che accade ai sub colpiti da embolia in seguito a una mancata decompressione". In 60 hanno lavorato sulle carcasse. Una maxi-equipe coordinata da Sandro Mazzariol, del Cert (Cetacean stranding Emergency Response Team) dell’università di Padova, nato dopo lo spiaggiamento di massa sul Gargano del dicembre del 2009 quando a morire furono 7 capodogli. Le operazioni sono ufficialmente terminate intorno alle 19,00 con il ripristino completo dell’ arenile. Le carcasse sono state trasportate con dei camion verso i siti individuati dal comune di Vasto per l’interramento. "Una tempistica eccezionale – ha detto Mazzariol – visto che nel giro di un solo giorno la questione è stata risolta. Il coordinamento ha funzionato grazie anche al supporto della logistica", ha tenuto a sottolineare ringraziando gli uomini della Capitaneria di Porto di Vasto, il servizio veterinario dell’Asl provinciale di Chieti e le centinaia di volontari. Sui risultati dell’esame necroscopico non si è voluto sbilanciare. "Ci sono bolle – ha riferito Mazzariol parlando degli esami – non si esclude nulla. Prima di stabilire il nesso con le cause attendiamo le indagini collaterali. Allo studio ci sono varie ipotesi. Seguiremo tutti gli 11 step del Protocollo che abbiamo messo a punto dopo il Gargano". Da lunedì partirà il lavoro di raccolta dati. "Per prima cosa – ha detto Mazzariol – manderò le foto per avere una carta di identità degli animali. Poi seguirà il lavoro di ricerca di patogeni, quindi le indagini tossicologiche". Le prime risposte potrebbero arrivare entro un mese. Al lavoro anche gli specialisti della facoltà della Scienza del mare dell’Universidad de Las Palmas delle Canarie. Secondo l’esperto in analisi delle reti Marco Santarelli, associato di ricerca per enti internazionali e direttore Ricerca&Sviluppo di Network, è necessario "pianificare il rischio" e "oggi non si fa perché non si studia l’interdipendenza dei fenomeni, alla base di eventi come questo spiaggiamento". Arriva invece un forte j’accuse da uno dei massimi esperti di cetacei, il presidente dell’Istituto Tethys, Giuseppe Notarbartolo di Sciara: "Gli utilizzatori del mare sembra che la vogliano sempre fare franca" ma quello che serve "è più trasparenza e una volontà sincera di collaborazione tra chi usa il mare sia per scopi militari che per ricerca di idrocarburi, ed esperti della biodiversità".
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